Franz Di Cioccio: “Io e la PFM siamo in continua evoluzione”

Non è una cosa comune essere considerato dalla rivista inglese Prog UK una delle 100 icone della musica che hanno cambiato il mondo. Franz Di Cioccio lo è diventato per la sua storia con la Premiata Forneria Marconi, band italiana tra le più apprezzate nel nostro Paese e nel mondo. Una vita, la sua, dedicata interamente alla musica. La sua carriera non racconta solo l’appartenenza al rock progressivo della PFM, ma anche prezioso collaboratore, tra gli altri, di Mina, Lucio Battisti, Adriano Celentano e Fabrizio De André, al quale disse «Fabrizio, tu scrivi bene, ma ora le canzoni te le arrangiamo». Un modo di apparire guascone, ma che dimostrò con i fatti di essere in possesso della sicurezza che appartiene ai grandi personaggi. La PFM si esibirà giorno 8 agosto nell’area esterna dell’Abbazia Benedettina di Sant’Eufemia Lamezia, in un concerto organizzato da AMA Calabria.

Quanto oggi vi piace, rispetto a quegli anni, essere chiamati PFM anziché Premiata Forneria Marconi?
Quando si ha un eloquio fluido allora dici Premiata Forneria Marconi perché è molto bello da sentire, però PFM è prêt-àporter, più immediato. Inoltre, partendo da PFM, nascono tutte le narrazioni sul perché Premiata Forneri Marconi, perché una volta c’era in quel di Chiari una pasticceria che si chiamava Forneria Marconi. Quel nome ci piacque anche perché ci siamo detti che noi avremmo “sfornato” musica. Fu allora che abbiamo deciso di chiamarci Premiata Forneria Marconi. Siamo stati i primi ad avere un nome composto da una triade, anche perché altri avevano nomi più semplici in quanto andavano anche in televisione, cosa che noi non facevamo quasi mai. La nostra idea era che il nome della band rappresentasse la nostra musica.

Prima di diventare la PFM eravate I Grifoni, poi I Quelli. Come siete passati dal beat al prog?
Ai nostri inizi avevamo un’esperienza musicale di un certo tipo, che con il tempo è aumentata. Abbiamo cominciato a lavorare sulla musica, sperimentando cose nuove. La creazione di musiche diverse ci ha indotto ad avere un nome diverso. La musica è diventata più importante, sicuramente è stato un modo diverso di entrare a far parte del mondo musicale. Ciò che proponevamo non veniva trasmesso nelle radio. Eravamo un gruppo votato a fare una scelta musicale che a quell’epoca era molto sentita.

Il vostro modo di suonare è stato sempre contrassegnato dalla libertà espressiva. E’ stato anche così quando avete collaborato con Lucio Battisti e Fabrizio De André?
Ho suonato alla batteria in cinque, sei dischi, tra i più belli di Battisti. Lo facevo perché ero sempre libero senza partitura. La musica della PFM è sempre stata piena di ricerche, componevamo brani che erano delle piccole suite in cui le persone si riconoscevano anche in assenza del testo, perché raccontavamo una storia solo musicale. Questo modo di concepire la musica ci ha resi il gruppo che ancora oggi siamo, per noi è sempre stato il modo ideale per comunicare con le persone. La canzone assume un aspetto più importante quando l’artista sa esattamente cosa sta raccontando. Lavorare con De André è stato diverso. Lui aveva un modo suo di raccontare la musica, suonando con lui abbiamo reso la musica importante quanto il testo.

Il vostro modo innovativo di concepire la musica era chiaro sin dagli inizi. “Impressioni di settembre” non esisteva un ritornello cantato. Una decisione che mi stupì favorevolmente.
Sono contento che tu me lo dica. Il nostro ritornello, che era solo musicale e con una sonorità completamente nuova, ha preso tutti. In quel brano, che narrava una storia che iniziava all’alba in mezzo alla campagna, ad un certo punto arrivava una musica talmente forte che non hai bisogno di cantare come un ritornello, ma te lo godi di più perché non devi né fischiettarlo e né cantarlo.

Con De André avete creato degli arrangiamenti straordinari. Con Battisti sarebbe stato possibile fare la stessa cosa?
Io l’ho fatto. Basta pensare a “Mi ritorni in mente”, in cui ho sviluppato tutta la parte ritmica perché Lucio aveva bisogno di un momento come quello che abbiamo realizzato. Con lui non si svolgeva esclusivamente il lavoro di session man che svolge solo la sua parte. C’era un coinvolgimento totale, momenti musicali che non avevano bisogno del testo perché ti raccontavano quello che stava accadendo. Per me la musica è un fatto che arriva in un attimo e ti viene fuori, perché sei dentro la storia quindi non si fanno mai le cose sulla carta.

C’è stato in questi anni un cambiamento nella line up della Premiata Forneria Marconi, ma cos’è cambiato effettivamente a livello di rapporto tra voi e il pubblico?
La nostra principale caratteristica è stata sempre quella di sviluppare la sua identità. Il gruppo è cambiato perché ognuno ha il suo modo di evolversi. C’è chi lo fa per incidere dei dischi da solo, o chi lo fa perché vuole intraprendere un’altra strada. La nostra musica è sempre stata direttamente proporzionale a quello che volevamo realizzare. Sarebbe stato sbagliato fare altre venti “Impressioni di settembre”, cercando di ripetere il successo. La musica la prendi in mano e diventa parte di te, qualcosa che stai vivendo in quel preciso momento storico. Noi abbiamo sempre tentato di comunicare quello che stava accadendo e che stavamo vivendo.

Avevi la passione per la pittura, poi sei diventato un affermato batterista e non hai disdegnato di cimentarti con il canto.
Quando ho iniziato ho cantato e sono andato anche al Festival di Sanremo. Facevo il session man, suonavo in dischi di altri e ho realizzato anche cose in cui cantavo per conto mio. Però fare il cantante e basta non è una cosa che mi ha preso sensibilmente, potevo benissimo cantare suonando la batteria, quindi ho scelto dei brani in cui potevo entrambe le cose contemporaneamente. Non ho mai finito di imparare e ancora oggi mi rinnovo perché vado alla ricerca di qualcosa da scoprire. Questa è la passione che mi rende felice di fare questo lavoro.

A un certo punto della vostra carriera siete andati negli U.S.A., dove avete riscosso un notevole successo.
E’ vero, lì abbiamo ottenuto un grandissimo successo, perché non era una musica che aveva il profumo dell’Italia, pur avendo il suo imprinting. Gli americani hanno apprezzato il modo con cui siamo riusciti a comunicare con le nostre composizioni. Noi siamo andati importando quest’idea di sentire sulla pelle quello che ti accade se racconti una storia con la musica e con il testo. Avevamo dei testi inglesi molto forti, quindi abbiamo sempre cercato di osare al massimo delle nostre possibilità.

In Giappone ancora oggi siete considerati delle icone, così come tutto il movimento prog italiano.
Noi siamo stati i primi ad andare in Giappone. Ci è stata data questa possibilità e l’abbiamo cavalcata bene, come in America e in Sud America. Nel nostro momento più splendido di forma e di musicalità abbiamo veramente girato tutto il mondo. Ho un ricordo ancora ben impresso della nostra prima volta in Giappone. Abbiamo lasciato il nostro segno facendogli sentire in modo diverso la musicalità italiana.

Cosa ci aspetterà nel concerto di Sant’Eufemia Lamezia?
Sicuramente un bellissimo concerto. Ci saranno dentro molte cose anche improvvisate, mai sentite, perché è bello vedere il pubblico che con il viso esprime ciò che hanno ascoltato e ciò che non hanno mai ascoltato. Sarà un concerto da PFM insomma.

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