Salvatore Arena: “Porto a teatro un caso di errore giudiziario”

Il teatro calabrese è una continua fucina di talenti che, con estrema passione e fierezza, portano alla luce l’arte della recitazione. Salvatore Arena è, sicuramente, attore tra i più sensibili della Calabria. Pur se vive nella lontana Reggio Emilia, con Massimo Barilla è il motore di Mana Chuma, la Compagnia di teatro contemporaneo, che con i suoi lavori ha ottenuto numerosi riconoscimenti in ambito nazionale. Arena sarà in scena, giovedì 20 aprile, al Teatro Grandinetti Comunale di Lamezia Terme, con “Come un granello di sabbia”, un’opera che affronta uno dei misfatti della nostra Italia e del Sud, quello riguardante Giuseppe Gulotta. A parlarcene è lo stesso attore.

A un anno di distanza dalla rappresentazione di “f-Aida” ritorni in Calabria con un lavoro di denuncia, “Come un granello di sabbia”. Ce ne puoi parlare?
A questo spettacolo siamo molto legati. Io e Massimo Barilla abbiamo curato sia la drammaturgia che la regia, le musiche sono di Luigi Polimeni e la scenografia è di Aldo Zucco. In breve la storia racconta un caso di errore giudiziario gravissimo, che nasce da una violenza, da una costrizione.

Una storia vera dai risvolti altamente drammatici.
E’ il caso che ha riguardato Giuseppe Gulotta, un ragazzo di 18 anni di Alcamo, che una notte viene portato in caserma dai carabinieri ed è stato costretto a firmare una carta dove affermava di essere l’assassino di Salvatore Falcetta e Carmine Apuzzo, due carabinieri della caserma di Alcamo Marino. Per questa firma e per questa confessione ottenuta sotto tortura, lui rimane coinvolto con la giustizia e quindi con la galera per circa 36 anni. Un misfatto che ha trovato la giusta fine il 13 febbraio del 2012, data in cui arriva la sentenza di assoluzione perché estraneo ai fatti. Nessuno, però, gli restituirà i 36 anni di vita rubati.

Cosa ha spinto te e Massimo Barilla a portare in scena questa vicenda giudiziaria?
Potrei dire che è stata la storia a cercarci. Tempo fa un avvocato, amico di Massimo, ci disse di voler raccontare qualcosa insieme. Dopo alcuni giorni, sempre Massimo passando davanti al tribunale incontra un altro suo amico che gli dice di aver assistito ad una sentenza sconvolgente. In entrambe i casi si trattava della storia di Giuseppe Gullotta. A quel punto pensammo che questa storia ci stava seguendo, quasi come se volesse chiederci di raccontarla. Era doveroso a quel punto incontrare Giuseppe Gulotta, con il quale siamo diventati amici.

Come avete affrontato la scrittura del testo?
Scrivere il testo è stata un’esperienza forte. E’ una storia che doveva essere raccontata. Si inserisce in un contesto politico fragile, come quello degli anni Settanta ad Alcamo, in cui si sviluppa l’industria dell’eroina. Inoltre c’è una famiglia mafiosa, un sistema di servizi segreti deviati, che girava in Sicilia, terra che in quegli anni è un po’ un laboratorio dove forze contrastanti si incontrano su quel territorio perché il sistema politico è molto fragile.

La vostra è una vera e propria denuncia sociale.
Noi ci siamo concentrati sul voler raccontare il dolore di Giuseppe e della sua famiglia e di come lui, pur avendo la possibilità di scappare, rimane in carcere perché vuole dimostrare la sua non colpevolezza. Volevamo ricordare l’innocenza perduta di Gulotta, ma anche l’ingiustizia subita da lui e dalla sua famiglia. La cosa molto bella che ci piace raccontare è che è come se ad ascoltarlo ogni ci fosse il popolo italiano, come se quell’innocenza perduta gli venisse un po’ restituita. E’ una storia che vuole e deve essere raccontata.

Con questo spettacolo Mana Chuma ha confermato la qualità del lavoro svolto, ottenendo anche un importante riconoscimento.
“Come un granello di sabbia” è stato rappresentato a Parigi, a Malta, adesso andremo in Macedonia dove è stato tradotto, è stato raccontato in Germania, ha vinto il Premio In-box. E’ uno spettacolo che sentiamo in maniera profonda tanto da ritrovarci stremati alla fine, ma anche felici per aver dato voce a ciò che lui non ha potuto dire per tanti anni.

Giuseppe Gulotta ha assistito alla messa in scena della sua vicenda?
Abbiamo invitato Giuseppe alla prima, e ci ha detto che era indeciso se essere presente o no.  Quando è finito lo spettacolo ed è venuto a trovarci, la sua commozione era evidente. E’ stata una sensazione veramente forte, la possibilità di ascoltare una storia di questo tipo probabilmente ci fa sentire meno complici. E’ meglio ascoltarla che far finta che non ci sia. Ancora oggi, di questo miserabile avvenimento i due carabinieri uccisi ad Alcamo, non si conoscono gli autori né i mandanti e quindi sono rassegnatamente collocati nel buio.

Sul palcoscenico sarai da solo a dar voce a tutti i personaggi?
Si lo faccio da solo, alla nostra maniera, dando voce alla madre agli amici, ma anche al Male che è convinto di essere nel giusto. E’ un racconto a più voci nello stile della Compagnia. E’ un lavoro grosso, che mi permette di andare a letto più sereno per aver portato a conoscenza una delle più grandi frodi italiane, che ha la necessità di essere raccontata attraverso una voce che è un po’ un coro. Per me questo è l’unico modo per raccontarla perché se spezzi questa voce diventa più frammentaria.

Ti si può considerare il volto di Mana Chuma?
Io appartengo al teatro, non ho una collocazione. Non mi sento il volto di Mana Chuma, mi sento l’anima poetica condivisa con Massimo Barilla e con tutti gli altri, poi in scena ci vado io. Sicuramente io e Massimo condividiamo tutto il lavoro. Il nostro è un piano di denuncia. Tutto il teatro che abbiamo fatto finora è legato a fatti che hanno attraversato la storia d’Italia. Noi apparteniamo al territorio, ma non ci sentiamo esclusivamente legati ad esso, perché il teatro è universale. Il teatro è un gioco che va fatto seriamente quindi non credo al teatro di impegno civile ma credo nel teatro che può raccontare e mettere in luce delle zone d’ombra della nostra storia.

Tu e Massimo vi incontrate ancora a Bova per scrivere i vostri testi?
Sì, è ancora così perché è come ritornare dentro a un tempo che non esiste più, fatto di rapporti e di sguardi. Immagina questo paese arroccato a mille metri sopra il mare, noi siamo là e ci concediamo sempre un tempo, molte volte ci andiamo per trovare le persone con cui abbiamo un rapporto di amicizia. Sono circa 17 anni che quello è un nostro luogo di riferimento. Inoltre, ti confesso che è molto più semplice scrivere a Bova che in altre parti. Quello è un paese dove il senso dell’accoglienza ha un sapore greco. E’ un luogo veramente magico dove avvengono cose che in altre parti non possono accadere. Gli artisti scrivono dove si sentono accolti e noi lì abbiamo la possibilità di essere ospitati e molte volte facciamo anche una parte delle prove.

Negli ultimi anni hai allargato le tue esperienze lavorative alla televisione, al cinema e al teatro.
La televisione o il cinema avrei potuti incontrarli moltissimi anni fa e per certi versi l’ho sempre accantonato. Ho ricevuto delle proposte che non ho accettato perché mi sembravano banali. Adesso in questi ultimi anni mi sono avvicinato a questo mondo perché ho trovato un agente per il cinema. L’ho cercato perché volevo capire se il linguaggio filmico poteva permettermi di lavorare come attore in un contesto diverso. Lavorare nel cinema è un’esperienza estremamente bella perché ti obbliga ad un tipo di sottrazione diversa dal teatro.

Questa esperienza ti ha aiutato ad avere una nuova percezione del tuo progetto con Mana Chuma?
Quelli a cui ho partecipato erano, comunque, lavori di alta qualità come il Decamerone di Boccaccio fatto con Stefano Accorsi, uno spettacolo di grande successo, che per quattro anni lo abbiamo portato in scena. Dopo quella esperienza mi sono fermato per un po’ di tempo. Ho pensato di fare una scelta di vita e ho provato a seminare ancora più in profondità con Mana Chuma. E’ stata una scelta giusta, considerando gli ottimi risultati ottenuti. Il lavoro che stiamo svolgendo sul territorio sta diventando sempre più grosso. Sono certo che pian piano arriveremo ad avere un luogo di riferimento nostro.

Puoi darmi un’anticipazione di ciò che riserverà il tuo futuro e quello di Mana Chuma?
Il 29 Settembre a Forlì con “Un’altra Iliade”, una nuova produzione piuttosto impegnativa dal punto di vista fisico e vocale, perché in un’ora e un quarto racconto dieci anni della guerra di Troia Una storia che narro attraverso la figura di Tersite, figura minore dell’Iliade, che è un po’ il buffone del campo greco e il punto di vista dell’ultimo troiano lasciato in vita.

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