La musica piange Franco Battiato

16 Maggio 1973: una data indimenticabile. Fu il mio primo approccio con la musica di Franco Battiato. O meglio, con la sua musica dal vivo. La città di Catania abbracciava uno dei suoi figli “più strani”, perché tale era considerato l’autore di album come Fetus e Pollution. Un artista indecifrabile e innovativo che si era fatto notare per le idee innovative che stava apportando alla musica italiana.

Quei due dischi, però, avevano poco di italiano divisi com’erano tra gli stilemi della nostra canzone e le influenze del Krautrock. Allontanatosi dalla sua terra nel 1971, aveva vissuto e assorbito esperienze musicali lontane dai canoni della nostra canzone tradizionale. La sperimentazione era il suo credo. Lo era anche nel modo di presentarsi al pubblico con il suo modo di vestire e il trucco che trasfigurava il suo volto.

Capelli lunghi, una camicia militare e la barba incolta. Si presentava così sul palco. Da solo davanti a un giradischi usato con lo scratch, esattamente come avrebbe fatto Grandmaster Flash successivamente, e una radio sintonizzata sulle onde corte e una televisione per creare i rumori.

La sua geniale follia fu una delle cose che colpì tutti i presenti, che alla fine del concerto si chiedevano quanto sarebbe durata la sua carriera se avesse suonato sempre quella musica in cui primeggiava il VCS, un sintetizzatore usato più tardi dai Pink Floyd in Meddle. Per i fan della prima ora il vero Battiato è finito nel 1975 con la pubblicazione di M.elle Le Gladiator, ultimo dei dischi incisi per l’etichetta Bla Bla di Pino Massara, ideale per la sua libertà espressione.

Gli incontri hanno molto inciso nella sua carriera. Lo fu anche quello con Gianni Sassi, grafico, uomo di cultura e, successivamente, fondatore della Cramps, una delle etichette che hanno rivoluzionato il panorama musicale italiano. Fu proprio Sassi a inventare una campagna stampa anch’essa straordinariamente innovativa. In una di queste sui giornali appariva una frase spiazzante “Battiato è un buffone… la gente non ne può più”. La reazione fu positiva, contraria a quanto era logico aspettarsi. Fetus e Pollution raggiunsero la top ten degli album più venduti nel 1972.

Ma il successo, quello enorme, arrivò per scommessa con alcuni giornalisti musicali che lo provocarono dicendogli che non sarebbe mai riuscito a scrivere una canzone popolare. La risposta fu L’era del cinghiale bianco,nel 1979, un lavoro non proprio popolare, ma di sicuro una perla incastonata nella sua sterminata discografia. Intrigante e suggestivo quanto basta per tracciare una nuova strada tra citazioni colte ed esoterismi. Il linguaggio insolito rappresentava Battiato e la sua ricerca ossessiva di qualcosa di nuovo. Stranizza d’amuri ne era l’espressione più alta. Un anno dopo il suo secondo capolavoro, Patriots, in cui era ancora più evidente il suo modo di fare musica, la sua straordinaria attitudine a legare parole e musica in maniera originale.

Il successo, quello che lui non inseguiva a tutti i costi arrivò nel 1981 con La voce del padrone. Bandiera biancaCuccurucucù e Centro di gravità permanente furono tre brani che segnarono l’alba dei tanto vituperati anni ottanta. Degli inni senza tempo che alzarono il livello della canzone italiana, ancora una volta grazie a testi, non solo quelli scritti da Manlio Sgalambro, che esprimevano concetti fino ad allora non immaginabili. Da allora tutto sembrava essere stato più semplice per un cantautore che aveva raggiunto i vertici delle classifiche con dei brani che riuscivano anche a far ballare. Ma Battiato non si è mai fermato. Ha sempre voluto sbalordire senza mai snaturare il suo modo di essere artista. Non si è adagiato sulle comode posizioni di chi avrebbe potuto replicare sé stesso all’infinito.

Una posizione che gli ho sentito dire nei nostri incontri successivi. Disponibile come sempre, sorrideva ricordando i suoi difficili inizi e la sua volontà di esprimere la sua idea di musica. L’ultima volta fu il 24 ottobre 2015. Era una delle date del suo tour d’addio alle scene inserito nel cartellone del Festival d’Autunno a Catanzaro.

«Non ho mai cercato conferme dando al pubblico quello che vuole da me. Non ho mai voluto tradire il mio ruolo e quello che ho sempre desiderato esprimere. Sarebbe stato come rinnegare me stesso, facendo ciò che non interessa me, ma il mio pubblico». Parole rimaste, apparentemente dure, scolpite nella mia mente. Battiato era anche questo. Sincero fino all’estremo. Sensibile come pochi. La cura, uno dei suoi capolavori ne è il manifesto.

Avrebbe potuto sentirsi appagato con la pubblicazione di Come un cammello in una grondaia. Non fu così. Ispirato allo scienziato persiano Al-Biruni, quel lavoro fu l’ennesima dimostrazione della sua evoluzione, come dimostra in L’ombra della luce. Un piccolo gioiello che travalicava ogni concetto di idea di canzone convenzionale. Eterea ed emozionante come lo era anche Povera patria, il cui testo ancora oggi è attualissimo.

Leggerezza e profondità per nutrire le nostre emozioni. Franco Battiato ha lasciato questa terra ma non i nostri cuori. Oggi ha raggiunto il suo amico Manlio Sgalambro e mi piace pensare che stiano pensando di comporre altri brani per gli angeli.

(Pubblicato su Notizie di Spettacolo il 18/05/2021)

(Foto di Salvatore Monteverde)

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