Bobby Posner tra nostalgia, rimpianti e progetti futuri

E’ trascorso più di mezzo secolo dal giorno in cui i Rokes sono arrivati in Italia. Da allora il loro rapporto con l’Italia non si è mai interrotto. In occasione della tredicesima edizione di “Ri…Vista”, che si terrà a Catanzaro lunedì 18 dicembre, ho incontrato Bobby Posner a cui verrà consegnato il “Premio Beat One 2017”. Un incontro segnato da una sottile nostalgia per quegli anni trascorsi con i Rokes, o ancora meglio con quelli che per lui sono gli amici e i compagni di una splendida avventura: Shel, Mike e Johnny.

Era il 1963 lo Shel Carson Combo, che avrebbe cambiato da lì a poco il nome in Rokes, fu

chiamato per raggiungere Colin Hicks per alcuni concerti in Italia. Da Londra ad Amburgo e poi a Roma. Come avete vissuto quei continui cambiamenti di nazione?
Con l’entusiasmo e l’incoscienza di quattro ragazzi giovanissimi che amavano suonare ed accettare nuove sfide. Arrivato in Italia il 12 Maggio 1963 io avevo appena compiuto dicotto anni sei giorni prima, anche Johnny era poco più che diciottenne mentre Shel e Mike avevano già vent’anni.

Determinante per la vostra carriera fu l’incontro con Teddy Reno. Che ricordo hai di lui e di Rita Pavone?
Il contratto con Colin Hicks era solo per quattro settimane una a Milano poi a Genova e arrivato a Torino Colin aveva perso la voce. A quel punto l’organizzatore ci propose di esibirci da soli, considerando gli ottimi riscontri ottenuti aprendo lo spettacolo di Colin. L’ultima settimana, sempre da soli ci esibimmo a Roma all’Ambra Jovinelli e fu un autentico successo. Fu allora che decidemmo di rimanere in Italia. Teddy Reno venne a sentirci al teatro e poco tempo dopo ci chiese di accompagnare Rita Pavone in tournée. Da quel momento tra noi si instaurò una forte amicizia e Teddy, che credeva molto in noi, divenne il nostro manager.

In quegli anni era forte la rivalità con l’Equipe 84 che ricordava molto quella esistente in Inghilterra tra Beatles e Rolling Stones. Ma era vera rivalità la vostra?
La stampa aveva creato quella rivalità. In effetti lo eravamo, ma solo per la musica e le classifiche. Al di là di quello eravamo amici anche perché ci incontravamo spesso nelle feste dove eravamo invitati, ma anche in tv e al Cantagiro.

Il vostro arrivo in Italia destò un certo scalpore per i capelli lunghi, probabilmente più delle vostre canzoni. Era così anche in Germania?
No, in Germania erano già abituati all’invasione di complessi inglesi con i capelli lunghi come i nostri.

Le vostre chitarre a freccia create dalla Eko oggi sono illustrate sul libro “Guitars of the world”. Pensavate che quell’idea di Johnny potesse suscitare tanto interesse?
Nel lontano 1965 Oliviero Pigini, fondatore della Eko, cercava pubblicità per le chitarre da lui fabbricate, così fummo invitati a Recanati alla sua fabbrica. In effetti noi volevamo una chitarra che ci rappresentasse e gli spiegammo che doveva essere diverso della forma normale. Avevamo in mente qualcosa che somigliasse al “Flying V” della Gibson. Il suo disegnatore, presente al nostro incontro, allontanatosi per circa mezz’ora tornò con delle bozze di chitarre a forma di freccia che ci piacquero. Dopo un paio di settimana le chitarre erano già pronte e noi siamo ritornati alla Eko per fare un servizio fotografico ma anche curiosi di provarle nei nostri concerti. Cambiammo la paletta ma il resto risultò come volevamo noi. Oggi siamo felicissimi che il nostro modello sia stato inserito in un libro così importante.

Nel 1967 Luigi Tenco si tolse la vita al Festival di Sanremo. In quella edizione voi vi esibivate con il brano “Bisogna saper perdere”, classificandovi al sesto posto. Cosa ricordi di quel giorno triste per la musica italiana?
Mi ricordo che appresa la notizia c’era un’atmosfera stranissima. Tutti ci guardavamo con sgomento, increduli di quello che era successo. Non riuscivamo a spiegarci perché Luigi avesse compiuto quel gesto, soprattutto non capivamo se il vero motivo era quello che ci era stato detto, ovvero l’eliminazione dalla gara della sua canzone “Ciao amore, ciao”. E da allora nulla è cambiato. Tutto è stato ed è coperto da un velo di mistero. Pensa che negli archivi della RAI stranamente il video di quella edizione di Sanremo è l’unico che non si trova.

A cantare la seconda versione di quel brano fu un quasi esordiente Lucio Dalla. Che ricordi hai di lui?
Di Lucio ho bellissimi ricordi. Ricordo che ci incontrammo con lui nel bar della RCA con il suo immancabile clarinetto in mano. Tra noi fu subito amicizia, forse perchè apparivamo un pò strani agli occhi degli altri. Noi per i capelli lunghi e lui per il suo aspetto e per il clarinetto che non abbandonava mai. Poi invitammo sia Lucio che Luciana Turina partecipare al nostro tour invernale.

Nel vostro quarto album avete inserito il brano “Telegram for Miss Marygold” con il tuo basso in bella evidenza. Quel brano si scostava dalle tipiche sonorità beat. Come nacque?
Qui voglio precisare una cosa: tutte le nostre canzoni dove c’e’ scritto Shapiro erano scritte insieme a Mike che non essendo iscritto alla SIAE non poteva apparire. Riguardo “Telegram for miss Marygold” era nostra intenzione di cambiare lo stile, rifacendoci al periodo “flower power” anche perchè la canzone richiedeva un sound diverso e meno beat.

Dal 1963 al 1969 avete avuto grandi successi poi improvvisamente vi siete sciolti. Eppure la prima parte di “Sempre giorno” inserita nel lato B del vostro ultimo 45 giri era il segno di un rinnovamento musicale. Cosa successe?
Arrivammo ad un punto in cui le vendite dei dischi diminuirono, a mio avviso causato dalla scelta di canzoni sbagliate, per colpa della RCA. Inoltre il nostro cachet era elevato e si lavorava di meno. Io e Johnny volevamo ridurre un pò il nostro ingaggio che ci avrebbe consentito di lavorare sul nostro sound, incidendo brani con un’impronta piu rock. Non così la pensavano Shel e Mike propensi a finire del tutto la nostra unione, proprio mentre eravamo ancora all’apice del successo, nonostante i cali di cui parlavamo prima. Fu cosi che davanti alla volontà di Shel e Mike, io e Johnny abbiamo dovuto accettare a malincuore di sciogliere i Rokes.

Avete mai pensato ad una reunion?
A metà anni Ottanta un impresario ci propose di fare delle tournée in tre, Mike, Johnny ed io, perchè Shel aveva rifiutato poiché riteneva che una reunion potesse interferire con la sua carriera solista. Era già tutto organizzato per una ventina di serate. Io e Mike abbiamo fatto moltissime prove in Inghilterra dal momento che avremmo dovuto essere noi a cantare tutte le canzoni. Andò tutto bene finché l’impresario non ci chiese di firmare un contratto, ma Johnny si rifiutò di farlo e tutto svanì. Nonostante l’opportunità persa eravamo ancora amici. Poi nel 2000 Nino Cocchini, che era il leader di un gruppo tributo dei Rokes, mi contattò chiedendomi se io e Mike eravamo disposti a fare una tournée in Italia sotto il nome The Rokes. Anche allora Johnny rifiutò nuovamente nonostante i miei tentativi di convincerlo. Lui non voleva che andassimo in tournée. Mike, intanto, aveva appena terminato di incidere un album e quindi era libero da impegni, io avevo appena venduto un pub e stavo per acquistarne un altro e nel frattempo suonavo con vari gruppi ogni settimana nei week-end, ma cancellai tutti gli impegni perché desideravo fare questa tournée.

Quali sono oggi i vostri rapporti?
Da allora con Johnny ci siamo scambiati alcuni sms. I nostri contatti ormai sono davvero pochi e la cosa mi dispiace molto. Con Shel ogni tanto ci sentiamo telefonicamente per parlare di un po’ di tutto e di cosa c’è in giro di nuovo a livello musicale. L’ultima volta che ci siamo sentiti è stata appena una settimana fa. Invece con Mike il rapporto è più frequente anche perché ci capita spesso di suonare insieme.

Tu e Mike avete mai pensato di incidere un album di inediti?
Con Mike abbiamo quasi finito un nuovo album, tutte canzoni inedite scritte da noi due. Ma c’è anche un brano composto da Bobby Solo e un altro da Gian Pieretti e Marco Bonino. Inoltre Alberto Zeppieri ha scritto alcuni testi, per il momento otto canzoni in italiano e cinque in inglese. Dovrebbe essere pubblicato in primavera.

A Catanzaro ti verrà consegnato il “Premio Beat One 2017”. Quanto ti senti ancora legato a quel periodo?
Saremo sempre legati agli anni sessanta visto che durante i nostri spettacoli i fans ci chiedono di eseguire i successi dei Rokes che, regolarmente, cantano insieme a noi. Ovviamente nei nostri concerti non manchiamo di inserire nella scaletta alcune canzoni del nostro nuovo album.

(Pubblicato su MusicalNews.com il 17/12/2017)

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