Danilo Rea: “La musica è la colonna sonora della mia vita”

danilorea_3Pianista il cui repertorio spazia dai Beatles alla musica classica, dal jazz alla musica italiana, Danilo Rea non conosce limiti tra i generi musicali, mostrando di essere un artista eclettico e raffinato. Venerdì 16 dicembre si esibirà con Gino Paoli al Teatro Politeama di Catanzaro nell’ambito del Festival d’Autunno, diretto da Antonietta Santacroce. La “coppia di fatto”, come

ironicamente si definiscono, presenterà “Due come noi che…”, spettacolo dedicato ai cantautori della scuola genovese con il quale da qualche anno stanno ottenendo meritati successi di critica e pubblico.

La sua storia racconta di una sua passione giovanile per Domenico Modugno. Cosa l’ha fatta innamorare del pianoforte?
Il primo piano mi è stato regalo mio padre. Passavo tutto il tempo ad ascoltare dischi fin da piccolissimo, in particolare quelli di Modugno. È per questo che i miei genitori a 6 anni decisero di regalarmi un pianoforte e mandarmi a lezione: è stato uno dei regali più importanti della mia vita.

Ha dichiarato che lei sente la musica come parte essenziale della sua esistenza. E’ questo il segreto che la spinge quotidianamente ad avere sempre nuovi stimoli?
Sì, è la colonna sonora della mia vita, è l’emozione…Per questo non ho mai perso lo stimolo e, anzi, mi ha sempre spinto a sperimentare cose nuove.

Nell’album “Lirico” ha messo in mostra la sua formazione classica. Quanto hanno influito quegli studi nel suo approccio al jazz?
Moltissimo. Credo che la conoscenza sia il fondamento per la formazione del gusto e soprattutto per il suono di un musicista. E il suono è la prima caratteristica di un musicista, quella che imprime la sua riconoscibilità. In più la musica classica è stata un aiuto, mi ha dato un’apertura a 360°, che non mi ha costretto solo nell’ambiente jazz. Inoltre credo oggi per jazz si intenda un’unione di molti mondi.

Con i Doctor 3 ha riarrangiato brani di cantautori italiani e stranieri degli anni settanta. Come nasce questo interesse per quegli anni e qual è l’approccio di un pianista jazz con quel tipo di canzoni?
È stato tutto molto naturale, io ho sempre amato le canzoni e le melodie. Ho sempre affrontato le canzoni con l’approccio istintivo del bambino e con lo studio, ma la prima emozione viene sempre sulla melodia. Del resto anche i musicisti classici cercavo melodie popolari su cui costruire le loro grandi sinfonie. Il mio pallino è stato sempre quello di riuscire ad improvvisare su qualsiasi repertorio, e credo di esserci riuscito.

Claudio Baglioni, Fiorella Mannoia, Mina e Gino Paoli: quanto hanno influito queste collaborazioni con il suo modo di rileggere in chiave jazz brani del loro repertorio?
Ha influito soprattutto nella mia capacità di confrontarmi e capire come interagire con la loro musica, come sostenere un cantante senza sopraffarlo o prevaricarlo. Tutti loro mi hanno lasciato molta libertà, sono stati sempre attenti al mio bisogno di libertà musicale. Al tempo stesso questo mi ha responsabilizzato, mi ha spinto ad essere sì libero ma rispettando melodia canto, l’ampiezza della voce. È stato un grandissimo insegnamento. Dopo anni c’è ancora in noi questa voglia di collaborare: è una grande soddisfazione, perché significa che è scattato qualcosa di particolare.

Con Gino Paoli, nello spettacolo “Due come noi che…”, riuscite a creare un’alchimia inattesa per il pubblico. Quanto è stato difficile riuscire a trovare il giusto feeling tra di voi?
Con Gino è stato facile, tra noi c’è stata una sintonia immediata. Abbiamo realizzato che in due potevamo fare per cento. Trovo che la voce di Gino in un contesto spoglio di arrangiamenti e tante sonorità, sia eccezionale. Riesce a dare un’espressione meravigliosa, emozionante, particolare. Quasi da “attore” che dà un’altezza musicale alle parola. Lavorare con lui è molto stimolante, e l’ho trovato subito consono e facile da fare.

Tra i brani che eseguite ogni sera ce n’è qualcuno che ogni volta riesce a emozionarla come la prima volta?
Per Gino è “Fingere di te”, per me sicuramente “Sapore di sale”: è un brano a cui sono molto affezionato e mi piace moltissimo. Poi ci sono tantissimi altri omaggi bellissimi, come ad esempio “Il nostro concerto” di Bindi.

La scaletta del concerto cambia ogni volta che vi esibite. Cosa succederà sabato sera a Catanzaro?
Più che la scaletta che cambia, siamo noi che cambiamo in relazione della scaletta. Siamo registi di noi stessi, non c’è un arrangiamento fisso, e noi stessi ci sorprendiamo di come ogni volta suoniamo in maniera diversa i vari brani. Nessun concerto è uguale all’altro.

(Pubblicato su MusicalNews.com il 15/12/2016)

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